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Italia scatenata contro la Cedu: “Troppo favorevole ai migranti”

Italia scatenata contro la Cedu: “Troppo favorevole ai migranti”

La lettera aperta contro gli altri governi

In una bozza del documento circolata sui media, il disappunto del nostro governo e di quello danese verso la Corte che, addirittura, ostacolerebbe i paesi UE nel “prendere decisioni politiche nelle nostre democrazie”. Ma quest’organo non si occupa delle leggi sull’immigrazione, tutela i diritti di tutti gli esseri umani. E non può essere esposto a pressioni indebite

Foto Roberto Monaldo / LaPresse
Foto Roberto Monaldo / LaPresse

Diversi organi di stampa hanno riferito dell’esistenza di una bozza di lettera congiunta tra il Governo italiano e quello danese (ma potenzialmente aperta alla sottoscrizione di altri Paesi UE) da inviare alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo (CEDU) nella quale si esprimono forti preoccupazioni per un orientamento ritenuto troppo aperto da parte della stessa CEDU nei confronti dei migranti. La finalità della lettera sarebbe in particolare quella di aprire un confronto con la Corte sull’interpretazione delle norme alla luce delle “sfide dell’immigrazione irregolare moderna”. La giurisprudenza della Corte, ad avviso dei due Governi, sarebbe infatti eccessivamente attenta a garantire i diritti fondamentali dei cittadini stranieri con il risultato, persino, di ostacolare, i paesi UE nel “prendere decisioni politiche nelle nostre democrazie” (Euractive, 12.05.25) Si tratta, come si vede, di valutazioni e toni piuttosto pesanti, e dunque, anche se il testo della lettera non è al momento disponibile, ritengo opportuno proporre comunque alcune riflessioni preliminari.

Va innanzitutto ricordato che la Corte è un organo giurisdizionale previsto dalla Convenzione europea per i diritti dell’uomo (CEDU) cui aderiscono tutti i 46 membri del Consiglio d’Europa nato per assicurare l’applicazione e il rispetto dei diritti sanciti nella Convenzione. Come si legge nel preambolo della stessa, le libertà fondamentali tutelate dalla Convenzione “costituiscono le basi stesse della giustizia e della pace nel mondo e il cui mantenimento si fonda essenzialmente, da una parte, su un regime politico effettivamente democratico e dall’altra, su una concezione comune e un comune rispetto dei diritti dell’uomo”. La Corte ha iniziato la sua attività nel 1959. Nel corso dei suoi decenni di attività ha emesso più di 26.000 sentenze di cui 2.493 con riferimento all’Italia, mentre i ricorsi pendenti che riguardano il nostro Paese, a gennaio 2024, erano ben 2.737; si tratta di un numero alquanto elevato se si considera che la Corte può esaminare solamente casi per i quali tutti i mezzi di ricorso interni siano già stati esauriti.

Le decisioni della Corte relativamente alle migrazioni riguardano prevalentemente la violazione di quattro articoli della Convenzione: l’art. 3 (divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti), l’articolo 5 (diritto alla libertà e sicurezza) l’articolo 8 (diritto alla vita privata e famigliare) e l’articolo 13 (diritto a un ricorso effettivo). Richiamo l’attenzione sul fatto che il divieto di tortura di cui all’articolo 3 non può mai essere derogato in alcuna circostanza, neppure “in caso di guerra o in caso di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione” (art.15). Secondo consolidata giurisprudenza della Corte la proibizione di cui all’articolo 3 della Convenzione va interpretata nel senso che sussiste una proibizione assoluta di respingimento o espulsione di uno straniero verso uno Stato in cui egli sarebbe esposto a un rischio di subire torture o trattamenti inumani e degradanti.

Tra le moltissime decisioni in tal senso richiamo quella della Grande Camera, 23.2.2012, Hirsi Jamaa e altri c. Italia, nonché le recenti sentenze M.A. e Z.R. c. Cipro (Corte EDU, sentenza dell’8.10.2024), M.I. c. Svizzera (Corte EDU, sentenza del 12.11.2024). Di particolare rilevanza anche il caso ARE c. Grecia (Sentenza EDU 7.01.2025) relativa al respingimento in Turchia di una donna di origine curda successivamente incarcerata ingiustamente. I giudici riconobbero, al di là del caso individuale comunque grave, che “tenuto conto del gran numero, della diversità e della concordanza delle fonti pertinenti, la Corte conclude che dispone di seri elementi di prova che suggeriscono che, all’epoca dei fatti denunciati, esisteva una pratica sistematica di deportazione da parte delle autorità greche di cittadini di Paesi terzi dalla regione di Evros verso la Turchia” (par. 229).

Nel 2023 la CEDU con le due sentenze J.A. e Altri c. Italia e A.T. e altri c. Italia riscontrò serie violazioni dei diritti protetti dagli articoli 3 e 5 della Convenzione negli hotspot rispettivamente di Lampedusa e di Taranto. Nel caso dell’hotspot di Lampedusa all’epoca dei fatti la Corte ha riscontrato che la privazione della libertà dei ricorrenti non si configurava come legale ai sensi dell’Articolo 5 (1), lettera (f), poiché l’intero trattenimento, compresa la sua durata, non era regolata dalla legge e dunque era da considerarsi del tutto arbitraria. Il caso A.T. e altri presso l’hotspot di Taranto coinvolgeva dei minori non accompagnati, trattenuti anch’essi in modo del tutto arbitrario nello stesso hotspot dove altresì non avrebbero mai potuti essere trattenuti in quanto minori. Un caso che secondo alcune fonti avrebbe particolarmente irritato il governo danese è la recente causa Sharafane c. Danimarca (Corte EDU sentenza del 12.11.2024) relativa ad un cittadino iracheno nato e vissuto in Danimarca per 23 anni che veniva condannato a due anni e dieci mesi di detenzione per possesso di sostanze stupefacenti destinate alla vendita.

Il Tribunale di appello danese nel confermare la condanna, aveva anche ordinato il suo allontanamento con divieto di re-ingresso nello Stato per un periodo di sei anni. Chiamata a valutare se c’era stata una violazione dell’articolo 8 della Convenzione, in continuità con la propria giurisprudenza la Corte ha evidenziato come nel caso di persone che hanno vissuto gran parte della loro vita nello Stato convenuto o addirittura vi sono nate, vada valutata la particolare gravità dei reati commessi, la solidità dei legami sociali, culturali e familiari sia con il Paese ospitante sia con il Paese di destinazione; l’eventuale divieto di re-ingresso e la sua durata. Nella situazione del sig. Sharafane secondo la Corte EDU le autorità interne danesi avevano attribuito un peso eccessivo alla gravità del crimine commesso dal ricorrente e, guardando alla durata del divieto di re-ingresso in un’ottica di bilanciamento tra interessi di tutela della collettività e diritti individuali, ha rilevato come la possibilità stessa di fare rientro in Danimarca fosse puramente illusoria in quanto in ragione della normativa interna sul rilascio di visti a persone provenienti dall’Iraq e dell’impossibilità di avvalersi del ricongiungimento familiare in assenza di legami in tal senso in Danimarca, alla persona sarebbe stato di fatto impedito di rientrare per sempre in Danimarca dove era nato e vissuto.

Ho voluto presentare brevemente alcuni casi per far comprendere anche al lettore non esperto di questi argomenti quale sia la grande rilevanza dell’operato della Corte EDU nella tutela dei diritti fondamentali e quante numerose e gravi siano le violazioni che vengono commesse nell’UE nonostante l’ordinamento complessivamente democratico degli Stati europei (situazioni di particolare gravità come quella ungherese, e in parte di quella polacca, abbisognano di una riflessione ad hoc). La Corte EDU non si occupa in alcun modo delle mutevoli normative sull’immigrazione che esprimono l’evoluzione politica e sociale di una comunità, bensì ha come esclusivo compito di tutelare un ristretto gruppo di diritti fondamentali che vanno riconosciuti a tutti gli esseri umani in quanto tali, al di là della loro cittadinanza e della condizione giuridica. Si tratta di quel complesso di diritti che nel nostro ordinamento costituzionale spettano «ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani» (C. cost. sent. n. 105/2001).

È indispensabile che la Corte europea operi in assoluta autonomia e non sia soggetta a pressioni o, anche solo velate, intimidazioni da parte degli Stati membri il cui operato, sotto il profilo del rispetto dei diritti fondamentali della Convenzione, è chiamata a vagliare in migliaia di casi, che spesso riguardano proprio il rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini stranieri. Da parte di alcune formazioni politiche c’è aperta insofferenza verso l’attuale ordinamento giuridico di tutela dei diritti fondamentali, tanto da affermare nel testo della missiva in preparazione, che “ciò che un tempo era giusto potrebbe non essere la risposta di domani”. I cittadini europei devono essere consapevoli di tale pericolosa insofferenza e devono ricordare che il riconoscimento dell’esistenza di diritti universali da riconoscere a tutti gli esseri umani in quanto tali è una conquista preziosa ma tanto recente quanto fragile.

l'Unità

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